Per me questa poesia ha un ricordo particolare: la discussi all'esame di maturità. Fa parte della raccolta "La bufera e l'altro", uscita nel 1956. Raccoglie ,le poesie dal 1940 al 1952. Erano anni particolari. C'era stata la seconda guerra mondiale, il dilagare della società di massa, il dominio della DC e del PCI che non portò a nulla. Tutti segnali che, secondo Montale, annunciano il declino non solo dei valori autentici, ma di tutta la civiltà occidentale. La "bufera" allude alla seconda guerra mondiale ma anche a tale catastrofe, "l'altro" ad avvenimenti estranei e succesivi ad essa.
Questa poesia fa parte della quinta sezione dela raccolta. Una sezione in cui il poeta prende coscienza della crisi dei valori e cerca di trovarne dei nuovi. La poetica può asolvere questo compito. Essa deve rifugiarsi dalla "bufera" non più nell'alto, nell'astratto; ma nella concretezza, nel "fango" dell'esistenza quotidiana.
Nella poesia postata si allude ad una visita di Hitler a Firenze. E' stata scritta in due fasi: nel 1939 e nel 1946. Il capo del nazismo è il "messo infernale" ed il suo arrivo a Firenze è una profanazione ai valori della civiltà occidentale. A lui si contrappone Clizia(mentre il tedesco è l'Inferno, Clizia è il Paradiso), portatrice dei veri valori. Montale si chiede: se c'è Hitler e la guerra, allora che senso hanno i momenti vissuti con lei ("Tutto per nulla dunque?")? Ma alla fine della poesia si prospetta un possibile riscatto e la nevicata di falene, triste presagio iniziale, si trasforma in una possibile morte dei "mostri": la morte di Hitler e Mussolini.
Folta la nuvola bianca delle falene impazzite
turbina intorno agli scialbi fanali e sulle spallette,
stende a terra una coltre su cui scricchia
come zucchero il piede;l’estate imminente sprigiona
ora il gelo notturno che capiva
nelle cave segrete della stagione morta,
negli orti che da Maiano scavalcano a questi renai.
Da poco sul corso è passato a volo un messo infernale
tra un alalà di scherani,un golfo mistico acceso
e pavesato di croci a uncino l’ha preso e inghiottito,
si sono chiuse le vetrine,povere
e inoffensive benchè armate anch’esse
di cannoni e giocattoli di guerra,
ha sprangato il beccaio che infiorava
di bacche il muso dei capretti uccisi,
la sagra dei miti carnefici che ancora ignorano il sangue
s’è tramutata in un sozzo trescone d’ali schiantate,
di larve sulle golene,e l’acqua seguita a rodere
le sponde e più nessuno è incolpevole.
Tutto per nulla,dunque?-e le candele
romane a S.Giovanni,che sbiancavano lente
l’orizzonte,ed i pegni e i lunghi addii
forti come un battesimo nella lugubre attesa
dell’orda(ma una gemma rigò l’aria stillando
sui ghiacci e le riviere dei tuoi lidi
gli angeli di Tobia,i sette,la semina
dell’avvenire) e gli eliotropi nati
dalle tue mani-tutto arso e succhiato
da un polline che stride come un fuoco
e ha punte di snibibbio…
Oh la piagata
primavera è pur festa se raggela
in morte questa morte!Guarda ancora
in alto,Clizia,è la tua sorte,tu
che il non mutato amor mutata serbi,
fino a che il cieco sole che in te porti
si abbacin nell’Altro e si distrugga
in Lui per tutti.Forse le sirene,i rintocchi
che salutano i mostri nella sera
della loro tregenda,si confondono già
col suono che slegato dal cielo,scende,vince-
col respiro di un’alba che domani per tuttisi
riaffacci bianca ma senz’ali di raccapriccio,ai greti arsi del sud.
Eugenio Montale (La bufera e l'altro, Silvae, V sez.)
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
1 commento:
Ciao, è un bel commento! :)
Anch'io vorrei portare questa poesia agli esami.. purtroppo a scuola non l'abbiamo trattata perciò ne so poco... Se puoi, sapresti spiegarmi il significato in qualche riga?
Posta un commento