Un quarto di secolo io, quasi uno tu
che hai reso rosa i pomeriggi d’infanzia
e mi chiedevo dove nascondessi le ali.
Pelle e mani sono quasi buccia d’arancia,
pochi denti e capelli ma un cuore immenso
ti chiamo “nonna” anche se sei un angelo.
Crescevo e mi chiedevo per quanto tempo
lo scorrere degli anni avrebbe permesso
di godere ancora della tua compagnia.
Ricordi i silenziosi pranzi dopo la scuola,
passati a vedere i tuoi programmi preferiti
mentre io e Luca non volevamo crescere?
Ricordo la tua premura ed il tuo affetto
un pasto caldo pronto sempre per noi
che ci impegnavamo a farti arrabbiare.
Talvolta ti chiudevi in cucina a mangiare,
perché volevi parlassimo delle cose nostre
ma era bello quando pranzavi con noi.
Sono cresciuto, figlio di quei momenti
ora, forse, non ci vediamo più molto
ma solo il cuore è custode del vero affetto.
Spesso, nonna, sogno una grande utopia:
non sarebbe bello se vivessimo al contrario
e che tu tornassi giovane, allegra e vivace?
Noi diventeremmo pian piano più piccoli,
e, alla fine dello spettacolo, ai saluti finali
tu guarderesti di nuovo con serenità al futuro.
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